15 mag 2015

Un uomo che credeva nel prossimo.


Nel paese di Virmaponzo la vita è tranquilla e scorre esattamente come tanti altri posti.
Uno dei suoi abitanti si chiama Miandrea; è un arrogante come ce ne sono pochi e sta a tutti sul cazzo. Con il sigaro sempre acceso in bocca vive per il suo lavoro di responsabilità che implementa ordinare a qualcuno mansioni che dovrebbe fare lui.
Quando si concede un caffè, offerto sempre da qualcuno che viene indicato da lui come volontario, usa il tempo passato a gustarlo per scoprire se c'è qualcuno che sta battendo la fiacca, per punirlo con una ramanzina interminabile condita di insulti e sbuffi di fumo.
Quando Miandrea gira negli uffici il clima è teso e gli impiegati sono nervosi e pronti a bisticciare tra di loro, quando il capo si allontana tornano alle loro mansioni con un ritmo più umano e senza sentirsi sotto pressione.
L'uomo è molto diretto con tutti e non ha peli sulla lingua, non guarda in faccia a nessuno e con lui nessuno deve sbagliare, se lui sbaglia, la colpa è di qualcun altro che non ha fatto un buon lavoro. Un giorno ha scoperto che alcuni suoi lavoratori si stavano preparando a uscire mezzora prima del turno di lavoro, li ha presi da parte e licenziati. In quei giorni in ufficio il clima è salito verso livelli insopportabili di ansia. Pochi hanno dormito quella notte a parte il loro capo, che ha fatto sogni bellissimi.
Il metodo di Miandrea è molto severo, però viene giustificato dalla sua abilità di mantenere gli utili dell'azienda in netto passivo, riuscendo a sopravvivere in un mercato con una concorrenza è agguerrita e dal fatturato sfavillante. Nessuno dei suoi colleghi l'ha mai sentito pronunciare frasi di incoraggiamento o di compassione, nel suo vocabolario non sono mai state scritte. Se potesse, farebbe lavorare le sottoposte, in gravidanza, la domenica di natale dalle 8 alle 24. Purtroppo alcune leggi glielo impediscono.
Nella vita privata comunque è molto permissivo, per questo la moglie è libera di pensare una volta ogni trimestre, il figlio appena raggiunta la maggiore età è scappato liberamente da casa avviandosi in una promettente carriera militare, salendo di grado con facilità in questi ultimi anni. Se potesse tornerebbe con un carro armato a casa a far saltare quella testa di cazzo di suo padre. Purtroppo alcune leggi glielo impediscono.
Nel pieno di una carriera fulgida e di una vita prosperosa di successi lavorativi, Miandrea un giorno muore.
Il medico confermerà che l'ha portato via un infarto durante la notte e nonostante i repentini soccorsi non c'è stato nulla da fare; l'uomo ha esalato l'ultimo colpo di tosse portandosi con se il suo alito mefitico e la sua odiosa voce squillante.
La notizia prende alla provvista i colleghi e tutti i suoi collaboratori, che inizialmente non riescono a credere a quello che è successo, che per loro sembra troppo bello, per essere vero. Solo dopo aver visitato la salma e certi che il loro capo è realmente morto, affrontano il lutto gettando le mani al cielo come un giocatore di calcio, dopo aver fatto goal.
Durante il funerale la cerimonia è sfarzosa, il sermone del prete è toccante e edificante nello stesso tempo, più volte si chiede come sia stato possibile che Dio abbia chiamato una persona cosi retta e cosi virtuosa come Miandrea. La sua anima troverà la grazia del paradiso, chissà, e la pace delle persone che lo hanno amato, anche se veramente poche. Nelle ultime file alcune anziane, presenti solamente per caso, si chiedono perché sono le brave persone che se ne vanno, mentre i criminali continuano a fare disastri.
La messa finisce come è iniziata, nel totale anonimato, mentre la bara viene portata fuori con al seguito un capannello di persone, che poi sono gli addetti delle onoranze funebri.
Passa qualche giorno e il sostituto di Miandrea sembra essere più cordiale e coordina il gruppo con armonia e serenità trascinando l'azienda verso un inaspettato aumento degli utili, però il ricordo di Miandrea è forte e tutti lo sentono ancora vicino.
Alla fine era un bravo uomo ed è un peccato che se ne sia andato cosi, nel pieno delle sua giovinezza.
Il rimpianto di Miandrea arriva fino alle orecchie del sindaco, che conosceva perché suo compagno di banco alle elementari, in grado di copiagli qualsiasi compito in classe. Nel suo cuore occupato della politica entra una briciola di nostalgia e si impegna a farlo ricordare al paese a cui era tanto caro; nel giro di qualche mese, con il contributo di negozianti e dei colleghi di ufficio, fa costruire una statua di bronzo che colloca nell'unica piazza del paese priva di abbellimento.
Una targa lo ricorda con affetto:" Al ricordo di Miandrea; un uomo che credeva nel prossimo" chiunque legge quell'epitaffio non può che immaginarsi una persona giusta impegnata in una causa giusta e portata via da una tragedia.
Invece era un infame che i ricordi hanno trasformato in un eroe, laddove il tempo ha cancellato tutto il male che ha fatto e avrebbe ancora fatto nel corso della sua vita da stronzo.
Fine.

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