28 apr 2013

Sprovveduti si nasce, si muore competenti.

Domenica al laghetto, regna della pace che risulta innaturale alle nostre orecchie, quel silenzio orchestrato dalla natura, con accordi in bemolle di cinguettii e scale di civette in la maggiore, una musica che si ascolta senza lettore mp3, con una buona qualità audio e senza invasive cuffie infilate nella tromba di Eustacchio.
Improvvisamente accade quello che non dovrebbe accadere, in acqua si vede una persona. E' un ragazzo che tenta di nuotare; si muove, continua a salire e scendere dalla superficie circondato da schizzi, la sua voce rompe il concerto di madre natura
"AIUTOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO, AFFOGOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!"
Il primo istinto è quello di buttarsi immediatamente, raggiungerlo, rassicurarlo mentre si trascina a riva sano e salvo e poi chiedergli se ha una sorella che può contraccambiare il favore.
Il problema è che non sapete nuotare. Non l'avete mai imparato, arrivate da una zona cittadina senza il mare e con le piscine usate per la coltivazione delle angurie fuori stagione.
La pozza d'acqua più grossa che avete visto è stata una pozzanghera in autostrada che, attraversandola, vi ha celato la visuale sul parabrezza per due lunghissimi secondi.
Non sapete nuotare:"Tanto che cosa ci vuole?, basta sbattere le gambe" pensate mentre vi tuffate.
Risultato del fine settimana: due morti affogati.
Sembra una storia ridicola, quasi una macabra barzelletta, di quelle raccontate agli amici dopo qualche birra media. Eppure accade di frequente attorno a noi, ogni giorno.
Quante persone non sono neanche in grado di aiutare se stesse e tentano di aiutare il prossimo? Troppe.
Non le salva dalle grazie della provvidenza perché sono sprovvedute tanto quanto le persone che vogliono salvare. Il ragazzo che stava affogando nel lago ha pensato la stessa cosa del suo salvatore neofita:"Tanto che ci vuole a nuotare?, basta muovere le gambe!".
Tante volte vengono citate, a vuoto, le parole della bibbia, :"Ama il tuo prossimo, come te stesso", una frase banale che molti ripetono e ricordano per abitudine.
Se non conosciamo noi stessi, i nostri limiti e le nostre conoscenze, siamo noi che abbiamo bisogno di aiuto e non il prossimo. Questo non è egoismo, ma rispetto verso di altri.
Se il salvatore diventa vittima è comunque artefice della sua incolumità di una colpa che è difficile configurare in una buona azione, anche se è sprovveduto e lo fa in buona fede.
Dalla condizione di innocenza si esce sempre in malo modo.
L'esempio del ragazzo affogato è estremo, ma rende bene quanto possa essere stupido e inutile un azione simile.
So che ve lo state chiedendo tutti:"Tu cosa avresti fatto, nella stessa situazione, incapace di nuotare?"
Impossibile rispondere, prevedere il panico, gli oggetti attorno a me, le persone presenti, il tempo di reazione, le emozioni scaturite, la prontezza dei riflessi. Potrei farvi un elenco delle azioni più probabili da compiere; dipende molto da troppe incognite. Quindi non potrei rispondere in maniera veritiera a questa domanda.
Il concetto comunque è dirigere qualche attenzione verso le proprie debolezze, piuttosto che in quelle altrui.

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