29 lug 2006

L'infallibile Jack

E’ un giorno afoso qui a Gosoron City, il sole è una stella remota milioni di chilometri, ma che rompe ancora il cazzo, ci sono 90 gradi all’ombra e la parola acqua a perso di significato, mentre la parola sete è entrato nel linguaggio comune, prepotentemente.
Mi aggiro nella via più losca di questa maledetta città, un posto che neanche i più bastardi di questo mondo vorrebbero entrarci senza armi o senza un carroarmato. Mi piace sfidare la sorte, lo faccio da quando sono nato, la vita stessa è una sfida contro la sorte, c’è chi crede di sfidare il destino comprando un biglietto della lotteria, io credo che l’unico modo di fottere il fato è dargli un calcio nel culo quando è girato e poi dare la colpa a un altro.
Non sono completamente pazzo, con me ho un oggetto di metallo che può valere una fortuna se consegnato alla persona giusta, che io casualmente conosco, per questo mi sento più sicuro di quanto non dovrei e avanzo nello sporco vicolo senza guardarmi dietro. Il mondo mi sorride, da dietro un angolo spuntano un gruppo di persone mi blocca la squallida strada, due di loro sono di colore, c’è un cinese che somiglia a milioni di altri cinesi e un altro che, probabilmente, arriva direttamente dalla nazione delle facce da cazzo. E’ bello vedere unite diverse etnie per il semplice scopo di fare male agli altri.
“Di qui non si passa” – mi dice li più grosso di questi, i suoi occhi sembrano fieri di quello che la sua bocca ha appena detto.
“Prima vuoti le tasche e poi, forse, ti lasciamo passare” – aggiunge il suo amico dagli occhi a mandorla, con un accento che non è orientale, sa di minchione.
“Non ho nulla in tasca, stronzi.” – gli dico cercando di guardarli tutti con il mio sguardo più minaccioso che posseggo, ne ho circa 23 in catalogo.
“Vediamo un po’ se è vero” – Esclama quello grosso, quindi li vedo avvicinarmi assieme, da vigliacchi esemplari, cercano di bloccarmi per portarmi via tutto, ma come ho già detto prima, non ho nulla di valore in tasta, solo i miei pugni volgono qualcosa.
Il più grosso va giù per primo, quasi a velocità luce, non ricordavo di essere tanto lesto, con lo stesso metodo attacco il cinese che raggiunge lo stato di:”incapacitato” tra una frazione di secondo e l’altra. E’ la volta della faccia di cazzo, che gli risparmio concentradomi sul suo petto, un mio piede lo scaglia lontano e lo porta in compagnia ai bidoni dell’immondizia in un angolo, quelli che rimangono, il giorno dopo si chiederanno se è opportuno continuare a alimentare la loro patetica esistenza, respirando.
Proseguo nella mia strada, odio le interruzioni, faccio ancora un centinaio di passi e mi fermo davanti a una porta di legno, marcia, di un colore che è l’equivalente di una bestemmia grama. Busso con decisione cinque colpi, lo sentirebbe anche un’anima perduta nella remota dimensione dell’aldilà.
“Chi è?” – chiede una voce stridula, che domanda idiota, sono l’unico a bussare in quella porta dopo almeno 15 anni.
“Sono io” – gli dico senza dire il nome, il mio timbro vocale è la mia carta d’identità.
“Io chi? Cesira sei tu?" – domanda la solita voce, inizio a sospettare di stare dialogando con un coglione.
“Apri, sono io, idiota!”
La porta cigola e sui cardini non sembra stare a suo agio, da dietro il legno marcio sbuca una faccia che sa di mille anni, intona un’altra domanda idiota:”Cosa vuoi?”
“Sono venuto per la consegna”
“Quale consegna?” – la mia pazienza, già instabile, comincia a vacillare.
“Senti vecchio di merda, ho un oggetto che devo consegnare a Tumbulo, fammi passare prima che sia troppo tardi”
“Io non conosco nessun Tumbulo, maleducato! E ora mi lasci stare!”
Sollevo matusalemme con un braccio solo è pesante come un sacco di coriandoli, i miei occhi perforano i suoi. – “Levati dal cazzo!”
“Giovanotto, guarda che chiamo i gendarmi!”
Faccio per lanciare il sacco di coriandoli lontano quando il mio sguardo si posa sul numero civico della porta, il 69. E’ quello sbagliato. Odio commettere degli errori, capisco che è nella natura umana commettere qualche sbaglio, ma sono cose che non tollero, per questo mi infliggo delle penitenze a ogni sbaglio che faccio. Stacco l’osso del collo al vecchio con un movimento del pollice, mi sembra una punizione sufficiente per il mio errore, a Cesiraci perserò più tardi se avrò tempo. Mentre faccio gli ultimi metri che mi separano dalla porta giusta, mi metto a fischiettare. E’ un giorno afoso ma tutto sommato è una buona giornata.

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